La disperazione può portare alla follia, ogniuno di noi reagisce in un modo diverso c’è chi diventa un violento, chi ruba, chi decide di porre fine alla propria vita. Ernesto non essendo mai stato un ribelle o un violento, iniziò a optare per l’ultima soluzione .Non era follia, ma consapevolezza che oramai la sua vita era finita comunque. Avrebbe messo in moto la sua vettura nel piccolo garage, che aveva preso in affitto,e seduto all’interno, avrebbe atteso quel silenzio perenne, che tanto cercava. Non voleva più incontrare nessuno, ne soffrire così tanto nel vedersi umiliato, tradito non solo, dalle persone che avrebbero dovuto essergli più vicino, ma dallo stesso Dio a cui aveva sempre creduto e amato. Aveva sempre sperato in un suo segno misericordioso, in un miracolo divino, pensava di meritarlo. Lui ..era stato un’bravo uomo e perciò Dio sicuramente, l’avrebbe almeno perdonato per quel suo drammatico gesto. Aveva trovato, frugando nella giacca qualche spicciolo, ma non voleva entrare in uno di quei bar presi d’assalto dai clienti, voleva trovare una locanda, dove poter stare solo.Si sentiva più sollevato nell’aver preso quella decisione e girò in un vicolo buio alla ricerca dell’osteria. La vide in lontananza, una piccola lanterna accesa rifletteva la sua fioca luce su un cartello ovale e una immagine di un vecchio Babbo Natale che beveva una birra lo colpì. Aprìì la porta artigianale di un legno vecchio, ammuffito e un campanello suonò per avvisare l’oste dell’entrata del cliente.Un uomo dai capelli bianchi, alto e robusto, vestito da babbo Natale, gli venne incontro:" Desidera? " Ernesto si scusò :"Buona sera volevo solo bere un caffè ",L’uomo lo guardò e lo invitò ad accomodarsi sul retro . Ernesto vide che alcuni tavoli erano occupati da diversi uomini che parlottavano tra di loro , Il vecchio lo fece accomodare ad un tavolino e portandogli il caffe cercò di metterlo a suo agio facendogli alcune domande:"E’ di questa zona? " No" rispose Ernesto " sono di passaggio, ma vivo in questa città"l’uomo continuò:" che lavoro fai?" e senza molti convenevoli gli diede del tu."Sono un artigiano" Allora sei dei nostri e il caffè te l’offriamo noi per darti il benvenuto "Ernesto non capiva e l’oste lesse nei suoi occhi quello stupore e continuò a parlare:" Vedi noi quì siamo tutti artigiani e operai, messi in ginocchio, qui ci ritroviamo e ci aiutiamo come possiamo, tutti i giorni veniamo per discutere sui nostri problemi e su come saffrontarli, non vogliamo darla vinta a quelli che coi nostri soldi si sono arricchiti e continuano a prenderci in giro ,quì non ti senti solo.Ernesto non poteva crederci.Ma, quando vide, che ad uno ad uno quegli uomini, seduti si alzavano in piedi e andavano a offrirgli la mano in segno d’amicizia,iniziò il miracolo.A Ernesto brillarono gli occhi e l’uomo vestito da babbo Natale gli porse la forte mano e gli disse:"BUON NATALE ERNESTO":
Mese: novembre 2009
buon Natale Ernesto 3capit.
era deluso, avvilito, da quell’incontro. Daniele era sempre stato il suo amico del cuore unito a lui, in quegli ideali che li accomunavano a molti giovani di sinistra, sfilavano sempre in primo piano, durante le manifestazioni operaie, in favore dei deboli e degli emigranti.Provenivano entrambi da famiglie operaie emigrate dal sud in cerca di lavoro e in quella città del nord si erano integrati alla perfezione,una città dove si sentivano a casa , una città che amavano come la loro terra, mai dimenticata. Ora dopo tanti anni si sentiva solo, abbandonato. D’altronde,anche suo fratello, le cui telefonate si erano limitate ad un "Come stai?,." si era allontanato, da quando era venuto a conoscenza delle sue difficoltà finanziarie certo ,non poteva aiutarlo economicamente e in questo Ernesto lo capiva e non lo avrebbe preteso, ma si apettava da lui un minimo di comprensione in più. La sua vicinanza. Ora il cielo era scomparso, nascosto dai tetti dei vecchi palazzi, che sembravano abbracciarsi, tanto erano uniti, i vicoli nella città vecchia, si diramavano come in un labirinto ed erano affollati di gente di ogni etnia.L’odore intenso di umidità si mescolava ai profumi che uscivano dalle cucine delle antiche trattorie ora gestite da extracomunitari, negozi di cineserie affiancati l’uno all’altro, di italiano era rimasto poco.Ma la sua città era sempre uguale, pronta ad accoglierti. Si sentii stanco, amareggiato,i pensieri dei pagamenti ai creditori, non lo facevano respirare. Si frugò nella tasca, in cerca di qualche spicciolo per potersi bere quel caffè, che avrebbe bevuto volentieri in compagnia di un amico……………continua
buon Natale Ernesto cap.2
Buon Natale Ernesto
Aveva chiesto con molta dignità aiuto agli amici,ai colleghi ,ai parenti ,ma tutti comprendevano a parole il suo stato d’animo e nessuno poteva o voleva aiutarlo . Gli era sembrato, che lo shernissero e si era chiuso in se stesso come un bruco si chiude nel suo bozzoloAveva lavorato in proprio per tanti anni un lavoro duro, pesante ed aveva pagato fino all’ultimo centesimo tutte le tasse e le spese che servivano per poter svolgere con tranquillità il suo lavoro Era stato talmente tanto onesto, che non era riuscito a costruirsi una misera casa.Quel bene che gli avrebbe potuto almeno garantire ,un posto caldo dove passare la sua vecchiaia.I suoi occhi ora, erano pieni di lacrime che scivolavano lentamente a bagnare il suo cuscino.Non sapeva come fare, gli avevano comunicato lo sfratto e gli ufficiali giudiziari gli avevano confiscato tutte quelle poche cose che era riuscito a comprarsi con sacrificio. Era arrivato alla pensione, ma era così misera, settecento euro al mese, che bastavano solo per l’affitto. Così decise di continuare, nonostante i suoi gravi acciacchi, il suo lavoro. L’I.N.P.S. lo costrinse ha versare i contributi per intero a fondo perso, perchè, per assurdo, aveva raggiunto gli anni di contribuzione ma ,avendo scelto di continuare a lavorare, doveva raggiungere i sessantacinque anni di età per pagarne la metà. In pratica, gli veniva versato, meno della metà della sua pensione che aveva versato per quarant’anni.Il lavoro, con la grave crisi, era diminuito, ma le spese erano salite vertigginosamente e lui non riusciva più a far fronte agli impegni presi. Si era indebitato e ormai le banche non gli avrebbero più fatto credito. Si alzò dal letto si vestì, e con gli occhi ancora lucidi uscì dal portone:" Buongiorno signor Ernesto " Il saluto della vicina di casa lo distolse dai suoi pensieri. Avrebbe voluto evitare quell’incontro, ma lui, era sempre stato gentile con tutti e poi gli altri, pensò,non avevano colpa della sua situazione.La vicina era una di quelle pettegole,che amano interessarsi degli altri solo per compassione o per avere una scusa per ciarlare con qualche amica. Conosceva la sua disperazione ma, faceva finta di non esserne al corrente per saperne di più. "Come và .. ho saputo che gli hanno dato lo sfratto!! Ha già trovato casa? " Ernesto la guardò negli occhi e con la fierezza di chi, nella vita ha lottato lealmente rispose:" No signora gli affitti sono molto cari e per ora non ho ancora provveduto." La signora guardò quell’uomo con uno sguardo malefico, quasi fosse invidiosa di quella fierezza e forse, come una sfida,continuò il suo discorso." Ho io, da proporle un appartamento. Piccolo, da risistemare, ma comodo. Si trova nel centro della città. L’ho ereditato da mio suocero: Cosa vuole dobbiamo pur vivere, e l’affitto che prendiamo, insieme alla pensione di mio marito, noi fortunatamente la casa siamo riusciti con grandi sacrifici a comprarla! abbiamo rinunciato a tutto sà!! poca cosa, serve a tirare avanti …..Non ci manca nulla. Aspettava che Ernesto le chiedesse quanto voleva, ma lui in silenzio l’ascoltava. La signora si fece avanti nell’offerta e propose all’uomo una somma da capogiro. Ernesto ormai conosceva quel tipo di persone e senza scomporsi replicò:" Signora io la ringrazio per la sua gentile offerta ma io, non ho intenzione di regalare i miei soldi a delle persone che speculano sulla vita altrui .Buongiorno": E si allontanò lascindola di pietra.La giornata era bellissima il sole intiepidiva quell’aria fresca l’uomo respirò profondamente e alzò gli occhi al cielo in cerca di aiuto. Nonostante fosse entrato solo poche volte in chiesa rimaneva un credente e questo gli dava quella forza d’animo che l’aveva sostenuto nel corso della sua vita ora ne aveva bisogno più che mai perchè stava perdendola. L’idea di dover affrontare dei clienti sul lavoro gli fece cambiare programma e decise per una volta di farsi una camminata in città.Il clima natalizio lo ricordava diverso un brulicare di persone sorridenti,che si affacciavano nei negozi spingendosi per vedere le bellissime vetrine allestite per l’occasione. Quanti bellissimi capi sfoggiavano ,facendo a gara a chi li esponeva meglio. Colori Luci collecate le une con le altre formavano corone che ti accompagnavano in tutte le vie .Ti invitavano a comprare e i clienti spendevano senza creare grossi problemi Ora le vie sono spoglie, qualche luce quà e là.La gente è più indaffarata a correre a casa,è triste, arrabbiata ,si dimentica dei negozi. Sono tutti nei centri commerciali , certo in quei posti trovi posteggio, sei al caldo, ti bevi il caffè e trovi tutto quello che vuoi. Ernesto pensò:" In quegli ambienti si diventa come tanti piccoli robot non c’è più rapporti, ne nascono amicizie Quanta fatica e quanto amore ho speso per i miei clienti , sembra che tutti abbiano dimenticato all’improvviso e mentre pensava si senti toccare sulla spalla."Ma sei tu Ernesto " Il grande amico d’infazia era davanti a lui "Quanti anni sono passati?"………continua. …… Gabriarte
disegno per un racconto
Non farmi ricordare
Quando andavo a trovare la sorella di mia madre era una come andare ad una festa . Abitava in una piccola villetta immersa nel verde della campagna e possedeva animali da cortile A volte rimanevo da lei,che non aveva figli, qualche fine settimana. Fù in una di quelle occasioni, che notai il comportamento di mio zio, il marito.Un uomo sui quarant’anni, io ne avevo dieci, bello come un attore, ma silenzioso e cupo. Non alzava mai lo sguardo, scambiava poche parole e trovava sempre qualche cosa da fare per evitare che qualcuno gli e le rivolgesse . Mi domandavo; come un uomo così bello e fortunato nel vivere in un posto così incantevole,si sentisse tanto infelice. Mia zia lo adorava e aveva per lui un tale riguardo e una tale ammirazione, da suscitare tenerezza.Avevo notato che camminava trascinando i piedi e mi venne spontaneo chiedere alla zia, con cui avevo più confidenza, la ragione per cui camminasse in quel modo:"Tuo zio è stato in un campo di concetramento per tre anni e gli si sono congelati i piedi"Poi aggiunse:" Non fargli mai domande su quel periodo, non solo, non ti risponderebbe ma,lo vedresti incattivirsi. Promettimelo!!" Rimasi a bocca aperta ma incuriosita più di prima. Mia madre non me ne aveva mai parlato e quando toccai con lei l’argomento, mi disse che mia zia l’aveva conosciuto trammite lettera, molte ragazze nel periodo della guerra scrivevano ai deportati senza conoscerli ,per rinquorarli e fargli sentire che qualcuno pensava a loro. Così, continuò a scrivere a tuo zio e quando la guerra finì e lui venne liberato si incontrarono e forse più per gratitudine decise di sposarsi con lei, che le era stata accanto in quel tragico periodo" Ma allora non erano innamorati ?" domandai:"Tua zia era innamoratissima di lui,e lo sposò nonostante il parere contrario di nostra madre. Di quel periodo non ce ne ha mai fatto parola e tua zia ci supplicò di non fargli mai domande. "".Certo" continuò," Deve avere molto sofferto". La mia curiosità fù così forte che un giorno mentre lo vidi seduto che accarezzava il suo cane mi avvicinai e facendomi coraggio gli chiesi cosa era un campo di concentramento. Si alzò di scatto e mi prese per un braccio scrollandomi, i suoi occhi cambiarono espressione e diventarono fuoco non mi ricordo, cosa mi gridò, ma mi spaventai a morte, Scappai piangendo rifugiandomi tra le braccia di mia zia. Non toccai più l’argomento, ma dopo qualche anno forse, spinto dal rimorso di avermi fatta piangere, o forse perchè fui l’unica a spingere quella porta di dolore, mi chiese scusa , poi aggiunse :" Non farmi ricordare, per anni mi svegliai con incubi e ancora oggi non riesco a cancellare i sogni terribili del mio passato
auguro a voi giovani di non conoscere mai quello che abbiamo subito:un campo di concentramento è un lago di sangue umano Ti prego non farmi ricordare." Non chiesi più nulla, ma dalla storie che lessi poi,attraverso i libri, capii cosa tolsero a quell’uomo.
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